LA MONTAGNA UNISCE IL CAI DIVIDE |
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Una volta assisto ad una riunione fra grandi alpinisti, non perché invitato ma perché ci capito per caso. Uno di essi, il più grande di tutti, chiede a se stesso ed agli altri: "Cosa ha fatto il C A I per me ?". Questo linguaggio non è ne proponibile ne accettabile. Un socio C A I deve piuttosto chiedersi: "Ho capito quali sono i principi e la filosofia del C A I ? il mio comportamento nel sodalizio si è sempre ispirato ad essi ? cosa ho dato a questa prestigiosa organizzazione per meritarmi l'appartenenza ?". Se molti si fossero posti questi interrogativi i fatti, rigorosamente veri, che sto per raccontare non sarebbero mai accaduti. Ma non è solo questo. Nel C A I ci sono soci, fortunatamente un'esigua minoranza, che, dopo aver corrisposto la quota sociale, pretendono dal C A I quello che un turista pretende dalla propria agenzia, dopo aver pagato l'iscrizione ad un viaggio. Oppure ci sono elementi che si infiltrano nel C A I per accedere a posti direttivi, per saziare la loro ambizione di emergere e di comandare. Sono questi tipi di soci che creano le discussioni, sono questi dai quali i soci veri devono guardarsi, sono questi che devono essere messi in minoranza, isolati, fino al loro naturale allontanamento dal C A I . Nel gruppo del Monte Rosa, sul lato occidentale dell'altipiano di Cimalegna, in prossimità del Col d'Olen, fra la Valsesia e la Valle d'Aosta, si trova il rifugio Vigevano. Negli anni a metà del 20° secolo, prima della costruzione delle funivie, il rifugio è una base alpinistica importante. Gli alpinisti che fanno le vie al Monte Rosa dal versante di Macugnaga o di Alagna, per scendere a valle, passano dal rifugio Vivevano. Così pure gli alpinisti, che vogliono fare il Lyskamm o la Dufour dal colle del Lys, trovano nel Vigevano un'ottima base di appoggio. Una sera sono a tavola, nella veranda del rifugio, con alcuni esperti alpinisti. Sento che parlano di tante belle arrampicate che essi effettuano nel Bianco, nel Gran Paradiso, nelle Dolomiti. Io, alle prime armi in alpinismo, sto ad ascoltare estasiato: provo per loro ammirazione ed invidia. Il discorso passa dalle ascensioni al Club Alpino Italiano. Un alpinista carico di anni e di esperienza dice una frase sconcertante: "La montagna unisce, il C A I divide. E' sempre così. Ci si conosce in montagna, si fa amicizia, si va al C A I . Per anni si collabora alle iniziative del sodalizio. Poi incominciano le divergenze sui programmi, si creano degli attriti: si finisce per litigare. L'amicizia nata in montagna si frantuma. E' una spirale maledetta che non si riesce a spezzare......". Questa frase mi riempie di rabbia. Non reagisco per rispetto alla persona che la pronuncia. Mi rifiuto di pensare che l'amicizia, nata in montagna, possa essere messa in discussione da divergenze nel Club Alpino Italiano. Considero il C A I come un'unica grande famiglia che raccoglie tutti gli alpinisti italiani. Lo considero un'organizzazione che realizza cose fondamentali per l'incremento dell'alpinismo, basta citare la costruzione di molti rifugi e la collana delle guide della montagna. Solo negli anni successivi ho modo di constatare, frequentando diverse sezioni del C A I , che quell'alpinista, carico di anni e di esperienza, non ha tutti i torti. Faccio parte di una sezione dove l'attività alpinistica è pressoché nulla. Un giorno arriva un alpinista di nome Maurizio: non è giovane, ma è in piena efficienza fisica. Il presidente della sezione gli da fiducia: Maurizio riesce ad organizzare corsi regolari di alpinismo che attirano molta gente al C A I . Riesce inoltre a mettere in piedi un gruppo alpinistico che partendo da zero arriva, nel giro di cinque anni, ad un bilancio di quarantacinque uscite all'anno. Maurizio ha sempre l'iniziativa nel proporre le gite, è presente in tutte le uscite, fa praticamente da guida al gruppo dei partecipanti. Le cose stanno a questo punto quando scoppia la polemica delle gite impegnative. In effetti le gite proposte da Maurizio presentano difficoltà di primo, massimo secondo grado. Alcuni soci vorrebbero fare di più. Maurizio Afferma che il numero dei partecipanti alle gite, da sei a dodici persone, non consente di affrontare con le dovute norme di sicurezza, salite di maggior impegno. La cosa è evidente: infatti le guide alpine, per regolamento, portano un solo cliente su salite impegnative. Al massimo possono portarne due a condizione che il secondo, in cordata a parte, sia accompagnato da un'aspirante guida. Inoltre le guide si muovono su salite che ben conoscono, per averle percorse decine di volte, mentre Maurizio affronta sempre salite per lui nuove. Pur riconoscendo a Maurizio le stesse capacità tecniche di una guida alpina, non si può pretendere che si assuma la responsabilità di portare numerosi alpinisti su salite di impegno. Ma questo non viene capito dagli altri. Al termine di diverse salite Maurizio si sente dire frasi di questo genere: "Che schifo di salita, non valeva neanche la pena di venire via da casa", "E anche questa salita è una delle solite stupidate tipiche di Maurizio", "Ormai Maurizio non è più capace di fare salite impegnative, pretende quindi di imporre anche agli altri le salite facili". Affermazioni di questo tipo fanno volare i nervi a Maurizio anche perché effettuate da elementi sulle cui capacità alpinistiche è lecito avanzare molte riserve. A partire da un certo periodo Maurizio propone sistematicamente salite impegnative. Per me va bene perché mi trovo a fare bellissime arrampicate che neanche sognavo di poter realizzare. Però la partecipazione è esigua: da due a quattro alpinisti. Gli altri, quelli che caragnano per le salite impegnative, non si fanno vedere. La cosa non si ferma qui. Gli stessi scrivono una lettera al presidente della sezione: affermano che Maurizio si isola con un limitato numero di amici, che fa le sue salite trascurando l'attività sociale della sezione. Viene riunito d'urgenza il Consiglio Direttivo della sezione per esaminare la situazione creatasi. Non so cosa avviene in quella sede. Mi riferiscono che Maurizio ne dice a tutti da vendere e da spendere. Dopo quel Consiglio Maurizio non si fa più vedere alla sezione: l'attività alpinistica crolla. Quando cera lui l'attività alpinistica era di quarantacinque uscite all'anno. Adesso quelli che restano impiegano tre anni per fare dieci gite. Non solo ma vanno a ripetere quelle gite facili, che avevano fatto con Maurizio e che, tanto aspramente, avevano criticato. Telefono parecchie volte a Maurizio: lo trovo sempre evasivo, non riesco ad agganciarlo per salite in montagna. So che passa allo scialpinismo e che ha la fortuna di trovare un'ottima compagnia. Adesso, a distanza di tempo, mi accorgo che il mio interessamento, nei riguardi di Maurizio, non era dettato da sentimenti di amicizia, ma dalla paura di perdere in lui un prezioso compagno di cordata. Mi rammarico, anzi mi pento, di non essere intervenuto in sua difesa e di non essere stato dalla sua parte come un amico avrebbe dovuto fare. Maurizio ci teneva moltissimo all'organizzazione che aveva messo in piedi ed alla quale aveva dato l'anima. L'abbandono di tutto è per lui un momento molto difficile da superare anche perché nessuno gli è vicino. Mi auguro in giorno di incontrarlo di nuovo in montagna, per esprimergli la mia immutata amicizia e per fargli le mie scuse, per il mio comportamento egoistico nei suoi confronti. Qualche tempo dopo passo ad un'altra sezione del C A I : si trova non molto lontano dalla città dove abito e lavoro. Sono sorpreso nel trovare un ambiente molto aperto e disponibile: vengo accolto come un vecchio amico che si fa vivo dopo un periodo di assenza. La qualificazione tecnica degli elementi di punta è a livello accademico. L'attività svolta è lo scialpinismo. Tenere il ritmo di salita dei primi è pesante per tutti. Io riesco solo impegnandomi a fondo. Non mollo perché il bilancio della stagione invernale è di 12-15 cime per me nuove, fatte in sci. A queste c'è da aggiungere l'attività estiva dove raccolgo tante vie come mai ne faccio in passato. Praticamente sono in montagna tutto l'anno senza interruzioni. Fulvio è l'animatore di questa intensa attività sociale. Le sue possibilità fisiche e le sue capacità tecniche sono ad un livello nettamente superiore a quelle degli altri.. E' sempre presente nelle gite, è sempre sua l'iniziativa nella scelta dell'itinerario di salita e di discesa. Profondo conoscitore della montagna riesce sempre a portare a termine le gite, senza inconvenienti di sorta, anche quando si presentano situazioni molto difficili. Per alcuni anni le cose vanno bene, poi succedono le solite discussioni. Parecchi soci lamentano l'eccessiva durezza delle gite. Una commissione gite è incaricata di fare il programma sociale. Quando la commissione si riunisce, quei pochi che vi partecipano, non si preoccupano di inserire gite facili alla portata di tutti. Fulvio viene sempre lasciato praticamente solo a decidere il programma. E' naturale che lo faccia sul metro delle proprie superiori capacità: in questo modo il programma per gli altri diventa pesante. Fulvio viene criticato e contestato apertamente, anche dagli stessi appartenenti alla commissione gite. Dopo qualche tempo Fulvio si stanca. Con una scusa diplomatica lascia la commissione gite. Non so esattamente come la vicenda va a finire: un incidente in sci al Cevedale mi preclude, per alcuni anni, la possibilità di fare scialpinismo. So solo che l'attività sociale ne risente pesantemente. Le gite che si facevano con Fulvio sono solo un ricordo del passato: non sono più una realtà presente. Erano dure da portare a termine, ma la soddisfazione per le belle giornate passate in sci era tanta. Quando mi riprendo dall'incidente mi iscrivo ad un'altra sezione del C A I . Anche qui trovo la possibilità di fare scialpinismo. La cosa è per me molto avvincente. La compagnia è numerosa tanto che le gite vengono sempre fatte in pullman. Questo porta al vantaggio di fare tante belle traversate. Il pullman ci porta nella valle dalla quale saliamo. Viene poi a riprenderci nella valle che facciamo in discesa. Il livello tecnico, molto alto ed eguale per tutti, consente, nonostante l'elevato numero dei partecipanti, una notevole agilità di movimento. Le salite non sono mai dure. C'è il tempo per assaporare la montagna, fare fotografie, fermarsi, anche per periodi prolungati, sulle cime e sui colli raggiunti. L'animatore di tutto è Angelo: il suo impegno è notevole, non riesco a capire come possa resistere a tanto. Una compagnia scialpinistica, ben organizzata, deve avere alcuni elementi in grado di darsi il cambio a battere pista in salita, capaci di realizzare un tracciato che sfrutti, nel migliore dei modi, l'inclinazione dei pendii nevosi. In discesa non meno di due elementi devono scendere per ultimi. Questo per prestare soccorso a qualsiasi componente la comitiva in difficoltà per guasti agli sci o altro. Naturalmente fare questo lavoro significa rovinare in tutto o in parte la propria discesa in sci. E' per questo che in una compagnia numerosa si fanno dei turni: ad ogni singolo socio potrà capitare una volta alla stagione di rovinarsi una discesa. Ma questo non è un sacrificio, perché serve a tenere assieme una organizzazione, capace di fornire ai suoi componenti vantaggi, comunque, enormemente superiori al sacrificio di una discesa. Angelo si sobbarca da solo l'onere di assistere la numerosa comitiva nelle discese, rovinandosi in questo modo tutte le gite di parecchi stagioni consecutive. Quando chiede di essere aiutato dagli altri solo io mi presto a farlo. Ma uno solo non risolve il problema. Angelo si disinteressa della cosa: la comitiva va allo sbando. Davanti a battere pista va chi capita, anche gente non qualificata per farlo. In discesa non c'è nessuna assistenza. Se qualcuno si trova in difficoltà viene abbandonato a se stesso, nessuno lo aiuta a portarsi fuori. Scoppia la grana: come al solito, discussioni, prese di posizione, litigi. Angelo viene messo in difficoltà. Viene escluso dalla commissione gite e da qualsiasi incarico sociale. Quelli che gli succedono, nella organizzazione dello scialpinismo, non sanno tenere assieme la compagnia che si frantuma in tanti piccoli gruppi. Inizialmente questi fanno gite per proprio conto, ma a lungo andare finiscono col perdersi. L'attività sociale subisce un notevole regresso. Per l'egoismo di non perdere una discesa all'anno si finisce per perdere l'intera attività. Le vicende della vita mi impediscono, per un certo periodo di muovermi. Quando riprendo la montagna sono solo. Non ho compagni di cordata per fare arrampicate, non ho amici per fare scialpinismo. Anche quando vado a sciare su pista sono solo senza compagnia. Non so come uscire da questo isolamento. Una sera Antonio mi telefona proponendomi di organizzare un corso d'alpinismo per conto della sezione di Novara del Quell'alpinista, carico di anni e di esperienza, che una sera a tavola al rifugio Vigevano mi dice: "La montagna unisce il C A I divide....", devo ammetterlo: aveva ragione.
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